Nada a dizer – reviews

ELVIRA VIGNA: NADA A DIZER (Brasil, Ed. Companhia das Letras, 2010,  168p.; Portugal, Quetzal, 2013, 176p.; Itália, Gran Vía, 2016, 168p.) – reviews.
– Literary Fiction Award from Academia Brasileira de Letras

 

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Reviews:
(Italian edition)

 

Salvatore Iacono – Centro de studi ed iniziative culturale Pio la torre – 15/07/2016

Tradire è un po’ morire, ma anche capire
Il Brasile letterario dev’essere ben più sterminato di quello geografico. E starci dietro non è affatto semplice. Di certo è quasi sempre garanzia di un’esperienza di lettura che resta dentro e sedimenta. Lispector e Abreu, Amado e Guiamares Rosa, Machado de Assis e Scliar, più di recente Wrobel e Ruffato, in questo senso, insegnano. Si fa fatica ad orientarsi – ma è un piacevole smarrimento – nella letteratura lusofona dell’America Latina ed Elvira Vigna è un altro tassello, una bussola che mancava negli scaffali delle nostre librerie. Le edizioni Gran Via colmano un vuoto, con la pubblicazione di “Niente da dire” (163 pagine, 14 euro) della scrittrice brasiliana – già giornalista, editrice, autrice per l’infanzia – tra le più amate nel proprio paese, con una carriera quasi trentennale alle spalle, ma fin qui sconosciuta in Italia.
La credibilità che ha questo romanzo, tradotto da Vincenzo Barca, non sta nella storia raccontata – una solida (apparentemente) trentennale relazione della classe media messo a rischio da un adulterio del marito con una donna più giovane di vent’anni – ma nel modo esplicito in cui è narrato (immerso non in uno scenario esotico, non nei luoghi comuni di Rio e San Paolo, quanto nella contemporaneità delle mail, degli sms, di Skype), un crollo in prima persona, la ridefinizione della vita e delle abitudini, il mettersi in discussione fra illusioni e disillusioni, senza perdere di vista umorismo e lucidità. Il triangolo è composto dalla narratrice senza nome, dal marito Paulo (coppia di traduttori, di certe lotte e certi ideali, vissuti insieme nel passato, e di siderale distanza nel presente) e dall’amante di lui, N, antagonista che della narratrice è perfetta antitesi, prorompente quanto la donna tradita è il prototipo di un’intellettuale impegnata. Si affastellano domande sulla vita di coppia e sulla libertà, su ciò che viene meno quando si tradisce: un inventario dell’amore nella mezza età e del dolore di spietata contemporaneità è “Niente da dire”, che scorre crudo e onesto fino in fondo. Ne vien fuori che tradire è un po’ morire, ma è anche capire, maledettamente, gli altri e se stessi

 

 

Gianluigi Bodi, in Senzaudio.it, 12/07/2016

Cara Elvira Vigna, qualcosa da dire ci sarebbe.
Cara Elvira Vigna, ho tradito e sono stato tradito. E a ripensarci ora, credo che la cosa più difficile da fare in casi come questi sia parlare. Parlare con onestà, a sangue freddo, di quanto è successo. Nemmeno in un milione di anni riuscirei ad affrontare un tema come questo con la qualità usata in “Niente da dire” da Elvira Vigna.
Tramiamo.
Paulo e la nostra narratrice senza nome hanno un problema. E’ lo stesso Paulo a dircelo nel capitolo introduttivo. Lui tradisce la moglie con una donna più giovane e a mio parere molto meno interessante. Ma questo di solito non conta, giusto? Poi la palla passa a lei e lei racconta l’evoluzione di questo tradimento, dall’iniziale scappatella fino all’epilogo. Quindi, per farla breve, questa è la storia di un tradimento.
Quello che rende il libro speciale.
Quello che rende questo libro speciale è la voce narrante. La donna senza nome che scopre casualmente che il marito si trastulla in altri lidi. Il racconto è spietato. Lucido alla follia. Quasi fosse un esperimento scientifico. L’analisi attimo per attimo del percorso extraconiugale è denso di particolari. Quella della narratrice sembra quasi essere una ricerca ossessiva delle motivazioni profonde che portano tre persone ad agire come stanno agendo. Perché il marito ha tradito? Perché l’amante ha partecipato al tradimento? E perché la moglie tradita reagisce a quel modo? Mano a mano che le pagine scorrono la voce che ci accompagna scava ancora più in profondità, come un detective si barcamena tra indizi e congetture fino ad un’ipotetica verità. Quale sarà la soluzione migliore per riprendersi Paulo? Diventare forse come l’amante? Cercare di dargli quello che lui non riusciva a trovare nel matrimonio? Non c’è una ricetta, ma se il tradimento fosse una legge scientifica Elvira Vigna sarebbe molto vicina a scoprirne i postulati.
Il traduttore.
Vincenzo Barca ormai qui è di casa e io non mi stanco mai di dire che un libro tradotto da lui parte già avvantaggiato.
La casa editrice.
Di Gran Via non posso che parlare bene. Essendo un appassionato di letteratura latino americana nel loro catalogo ho sempre trovato una seconda casa. Vuoi per la qualità dei libri, vuoi perché affidando la copertina a Mirko Visentin, vuoi perché mi permettono di staccarmi dai classici e tuffarmi su autori contemporanei che forse avrei perso. Per queste e altre ragioni la via di Gran Via è da percorrere.

 

 

Leyla Khalil, Reinventarsi dopo il tradimento, in Facciunsalto.it, 22/05/2016

Elvira Vigna in Niente da dire, edito da Gran Via Edizioni, racconta il tradimento nel Brasile della borghesia, quello piatto – ma di una piattezza autentica, che proprio per questa borghese ordinarietà surprende chi si aspetta invece panorami esotici e piume colorate riproducendo ingenuamente immaginari fallaci proposti dai media europei.
La narrazione avanza attraverso la voce della protagonista, seguendo a linea guida di alcune date fulcro che lei serba in mente com la gelosia perversa con cui si trattengono i ricordi di ogni addio, percorsi e ripercorsi mentalmente infinite volte. Niente da dire non è soltanto la storia di un tradimento ma della ricostruzione di sé dopo il tradimento del partner, in questo caso di Paulo.
“Chi ero io per Paulo?”, se ló chiede spesso, la traduttrice tradita attorno a cui ruota l’intera vicenda. La Vigna analizza una ad una le tappe di elaboracione del fatto: il senso di assurdità, la negazione dei fatti, l’ostinato parlare al duale con um “noi” che sottintende una coppia che non c’è più. E ancora, il vano quanto assurdo tentativo di non somigliare più a se stessa, l’ambivalenza continua nei confronti dell’amante, che al lettore viene presentata semplicemente come “N”, la voglia di vestire come lei, essere como lei, scopare como lei con il fine unico di riconquistare Pulo.
Partendo dal quesito “chi ero io per Paulo?”, la donna giunge a tutt’altra risposta: rinunciando all’approfondimento identitario, preferisce essere chiunque pur che sia qualcuno che Paolo ancora desidera.
Passa con rassegnazione a non esigere più una spiegazione al trascorso:

 

“Quella mancanza di chiarimenti è una delle cose che non sarebbero state possibili nel mio vecchio io e che nel nuovo, in quello che alla fine ero riuscita a costruire, era possibile. Fragile, nel senso che ammette l’ambiguità, l’incomprensione, il non controllabile, à un io che include la presenza di un Paulo anche lui ambiguo, spesso incomprensibile e certamente non controllabile.”

Quest rassegnazione però resta teorica, perché soltanto alla fine vedremo la vera rinuncia al controllo della protagonista, l’abbandono totale alla realtà senza bisogno di filtrarla attraverso una forzata razionalità.
Con rassegnazione, la protagonista ammette poi il fallimento nel tentativo di essere” N:

“Non riuscii a far sì che la sua presenza nel mondo si restringesse fino a coincidere esattamente con il mio modesto corpo, quando infine avremmo occupato lo stesso spazio, io sarei stta lei e lei sarebbe stataa me. E lei sarebbe scomparsa.
O forse sarei scomparsa io.”

L’impossibilità di essere N. diventa a sua volta impossibilità di cancellare il tradimento che la coinvolge, di cancellare N. como amante, como presenza nei pensieri e nei ricordi di Paulo.
Allora arriva la disperazione: umanizzare un iPod quasi per fondercisi, appropriarsene penetrandolo con la propria essenza per sottrarre lo spirito di N. che lo possiede in un privatissimo rito animista. Per quanto inquietanti, le scene riportate da Elvira Vigna mantengono sempre una vena ironica che le fa scivolare nel grottesco. Così capita anche di sorridere, leggendo i disperati tentativi di cancellare dal mondo l’esistenza dell’amante.
Ma poi, in fondo, fa capolino una verità nascosta finora: la donna ama ancora Paulo.
Lui, che da traditore pentito non aspetta altro che l’assoluzione, accetta a capo chino di farle leggere le mail che si scambia con N., ed entrambi costruiscono un nido provvisorio.
Se l’escamotage di non dare un nome alla donna antagonista si rivela un trucchetto di cui la Vigna avrebbe potuto fare a meno, a convincere di più è la descrizione puntigliosa della routine ossessiva della protagonista. La quale, spinta da gelosia, controlla le mail del partner, la sottigliezza con cui accenna al calore della sedia del computer che fa presagire la clandestina presenza del partner poco prima davanti a quello stesso schermo, in un gioco di evidenze celate e dissimulate e verità fiutate scavando fra inganni e trabocchetti.

“Io ero vittima di un’ossessione che diventava sempre più forte. Ogni occasione era buona per frugare nel computer di Paulo. In mancanza di nuove mail, cercavo quelle vecchie. Cercavo tracce di file cancellat, indizi di qualsiasi tipo che riconducessero al nome di N.”

In questo gioco di scritture, cancellature e riscritture del proprio io, la donna si ritrova nel paradosso di non aver più nulla da dire, eppure di vomitare parole su parole cercando nelle parole una razionalità residua.
Nulla da dire sono le memorie di una donna ferita e colpevole di molto amore e troppo abbandono, che esiste ma che decide di smettere di esistere.

“Mi sgretolai. Non esistevo più.
Non mi aspettavo che questo potesse succedere. Che io potessi non esistere, che mia esistenza potesse non essere calcolata dalla persona che più mi conosceva al mondo.”
Eppure è proprio nel momento di massimo abbandono allinestenza che una forma nuova di libertà sembra poter germogliare.

 

 


Amarilli Novel in Mangialibri, 18/03/2016

Rio de Janeiro. Paulo aspetta la sua futura amante in un ristorante quasi vuoto: è già stato lì in molte altre occasioni, ma sempre per lavoro. La vede dapprima dalla finestra: lei scende dal taxi, ha le cosce tornite e un modo di fare sicuro. La camminata di lei pare dire: “So quel che faccio”. E Paulo sa quel che fa? Non proprio. Quando N. è abbastanza vicina Paulo esita un istante, poi si alza e decide di baciarla: è solo l’inizio. Ordinano. Sorridono. Poi non resistono: cominciano a toccarsi. Paulo ride, anche più di quanto dovrebbe: la strada che porta al sesso non è facile. Vorrebbe portarla subito da un’altra parte, averla tutta per sé. Spazientito le dice: “Be’, andiamo”. Bisogna però aspettare il cameriere, il conto, la ricevuta. Non è così semplice. Finalmente escono, salgono su un taxi ed è lui a decidere: ”Portaci al Motel Sandalo”. Non le chiede se va bene, lo dà per scontato. È lo stesso motel nel quale lui è già stato tante volte con la sua compagna di una vita, perché casa loro era sempre piena di bambini e poi di ragazzi e quello era l’unico modo per fare un po’ di sesso indisturbati. Adesso i bei ricordi di quei tempi Paulo sembra averli dimenticati tutti. Eppure, la verità non ci metterà tanto a venire a galla: presto lui dovrà confessare i dettagli del tradimento e la sua compagna ascolterà ogni cosa, ogni singolo particolare, chiedendosi come sia possibile scordarsi di chi ti è sempre stato accanto e mentire per mesi…
Niente da dire è l’unica opera finora tradotta in italiano della scrittrice, illustratrice e giornalista brasiliana Elvira Vigna ed è una storia cerebrale, quasi una discesa nella psiche. Protagonisti sono Paulo e la sua compagna (senza nome per l’intera durata del libro): una coppia di sessantenni non ordinaria che per scelta non si è mai sposata e che, dopo un passato di impegno politico, lavora ora nel campo della traduzione, vivendo in una casa che somiglia a una comune. Sebbene tra i due protagonisti ci sia affiatamento e amore, lui decide di tradirle lei: una situazione banale, “da telenovela di quinta categoria” come dirà la compagna di Paulo, voce narrante. Per sopportare il dolore dell’infedeltà, lei prende una decisione insolita: ricostruire quel che è avvenuto tra Paulo e l’amante in ordine cronologico, scoprendo i dettagli, ricreando i particolari degli incontri dai quali è stata esclusa, anche i più minimi. Così chiede, domanda, indaga, arriva persino a controllare le email di lui più volte al giorno – cosa che non aveva mai fatto prima – e ad affittare un appartamento tutto per sé nel quale riflettere. Niente da dire è una lunga investigazione sulla propria personalità e sul modo in cui si viene percepiti dagli altri ed è un effetto domino che si regge traballante sulle lettere dell’alfabeto: il tradimento di Paulo non travolge non solo lui, ma chiunque gli stia attorno, privato – senza motivo – di un solido terreno sotto i piedi.

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Myriam Pettinato, in Gufetto Mgazine, 02/03/2016

Elvira Vigna, una delle maggiori autrici brasiliane contemporanee, ha all’attivo trentasei pubblicazioni, tra le quali si annoverano i libri per bambini e ragazzi scritti e illustrati negli anni dell’esordio letterario, romanzi, racconti e saggi. Niente da dire (2010) è il suo ottavo romanzo, il primo a essere tradotto e pubblicato in Italia, portato in libreria il 23 febbraio dalle edizioni Gran Vía.
Niente da dire è il racconto minuzioso e sofferto di una vita intera messa in discussione dall’adulterio. La protagonista senza nome del romanzo scopre per caso la relazione clandestina del suo compagno Paulo con N., una conoscenza comune, anch’ella sposata, esponente di un universo sociale altro rispetto ai due, una femminilità dirompente che non ha nulla a che fare con il contegno da intellettuale progressista della narratrice. Il suo racconto si muove lungo alcuni assi ideali – la relazione extraconiugale, il rapporto socialmente riconosciuto benché non convenzionale, il ricordo della lotta contro la dittatura, il presente lavorativo, le differenze di genere – che conducono a un’analisi profonda dell’agire e del sentire di una persona che si scopre all’improvviso essere nient’altro che un cliché.
Una donna tradita che indaga almeno un quarantennio della sua vita, scandagliando le ore e i giorni trascorsi nei dodici mesi in cui il tradimento non solo si è compiuto, ma si è ripetuto, alla ricerca di una comprensione totale degli accadimenti – anche i più infimi – dai quali lei è stata esclusa; delle motivazioni che hanno condotto il compagno a ignorarla come mai avrebbe creduto; delle conseguenze; del valore politico della possibilità di scelta. Ma anche un elenco inesauribile di parole, canzoni, storie andate perdute per sempre, e il ritratto impietoso di una donna che si sgretola e scompare. «Non esistere per Paulo fu solo un rapido preambolo a non esistere per me stessa.»
Con uno stile realistico che non risparmia gli atti e le parole più triviali, e allo stesso tempo esprime tutta la dolcezza dell’amore ferito, Elvira Vigna descrive e scruta ossessivamente la relazione tra due persone mature che si perdono e si ritrovano senza sosta, lei resistendo alle infinite varianti di una storia montata e rimontata mille volte, lui sostenendo paziente il fuoco di fila delle domande ripetute giorno e notte. Il tutto in un Brasile lontanissimo dai luoghi comuni, tra due città – San Paolo e Rio de Janeiro – che, come le case abitate e poi lasciate, restano sospese, in attesa di un ritorno alla normalità per nulla scontato, ma possibile.

 

 

Niente da dire di Elvira Vigna, by Andre Pennywise, in  Um antitodo contro la solitudine, 28/02/2016

Uno dei fenomeni più comuni nella nostra società è sicuramente il tradimento. Un aspetto sempre più diffuso e radicato a una normalità caratterizzata da quell’amore infedele quasi sempre inaspettato. Un sentimento rivelatore di una parte nascosta della persona alla quale abbiamo deciso di affidare il nostro cuore.
All’interno di questa dinamica Elvira Vigna muove la sua voce chiarificatrice, quella di una donna tradita costretta a far i conti con il proprio essere.
Niente da dire (gran vía) è l’ottavo romanzo di questa autrice nuova al panorama italiano, nonostante sia una della maggiori rappresentanti della narrativa brasiliana contemporanea.
Questa è la storia di un tradimento compiuto tra gli alberghi e le strade delle due città che più rappresentano il Brasile: Rio e San Paolo. Due luoghi ai quali sono collegati i sentimenti sotterranei di Paulo e N., la donna senza nome capace di poter strappare la figura maschile da un contesto familiare apparentemente consolidato.
È il flusso di coscienza della protagonista a guidarci tra i meandri della perdita servendosi di un occhio sorprendentemente atipico atto a tralasciare tutto ciò che potremmo perdere e a valorizzare un lavoro di analisi intima sulla capacità di affrontare la tragedia.
Estranea a me stessa, diventai la moglie tradita di tutte le storie già scritte e ancora da scrivere.
Tra i numerosi viaggi, nel corso di un interno anno, si consumerà un amore cercato, sintomo di una libera scelta individuale che non contempla “l’altro”.
La Vigna delinea ogni individuo della coppia come un’entità singola in cerca della propria dimensione, della rottura di uno schema consolidato da troppi anni di quotidianità sempre uguale a se stessa.
Quali sono le motivazioni che ci spingono a tradire? Cos’è la libertà individuale? Quali sono le dinamiche regolanti della vita di coppia? Queste alcune delle domande alle quali il lettore non potrà far a meno di pensare.
Tanti saranno i percorsi da seguire grazie ai quali ogni lettore potrà mettersi in discussione. Grazie a una voce sicura, potremmo accantonare la paura di rivelarci e grattare la dolorosa parete dell’autoinganno. Non sarà poi così strano mettersi nei panni di quell’odiata antagonista ripercorrendo in un gioco sadico i passi di un amore fittizio, per poi poter addirittura costruire una personalità diversa dalla nostra. Il nostro io calpestato dal sentimento più naturale del mondo. La dignità dimentica tra le lenzuola di un albergo ai margini della città.
Il Brasile a fare da sfondo alla libertà sessuale del nostro tempo e alle sue contraddizioni sottolinea la frattura lasciata dalla rivoluzione. La sessualità conquistata con il sangue e con il carcere, la possibilità di poter scegliere oggi più che mai abusata e svestita dalla sua valenza, dal peso di una consapevolezza ormai persa.
Come se uno scenario inadeguato potesse impedire l’esistenza stessa di ciò che doveva essere vissuto.
Leggere Niente da dire ha significato immergermi in un’esperienza nuova e mi ha permesso di dare il volto a una narrativa immediata, stilisticamente accessibile e sempre più di nicchia.
È stato come trovarsi davanti al vetro di una finestra con l’intenzione di guardare il mondo esterno, concentrarsi, perdersi nel dolore e non riuscir a veder nient’altro che il nostro volto sfuocato tra le luci di un nuovo giorno. Niente da dire sì, tutto però ancora da fare.

 

Presentation by Gran Vía:

Mi piaceva quel gioco che facevamo con il linguaggio. Parlavamo senza interruzione, giorno e notte. In generale la notte e urlando. Parlavamo e tornavamo a parlare, ricamando su cose dette e ridette mille volte, giusto per tornare a ridirle. Nella speranza che lo spostamento di una virgola, di una nuova parola, ci proiettasse oltre il linguaggio.

Dopo aver scoperto casualmente il tradimento di Paulo, il compagno di una vita, con un’amica di vent’anni più giovane, la narratrice senza nome del romanzo inizia un’analisi minuziosa della sua vita di coppia. Il triangolo fugace ed effimero che la vede suo malgrado coinvolta diviene così il motivo scatenante delle sue riflessioni. Nulla sfugge al suo sguardo distaccato e alla sua ossessione per i dettagli, mentre ricostruisce gli eventi di un’intera esistenza, in un esercizio spietato, benché necessario, di scoperta e rivelazione. Ma il flusso di coscienza della protagonista, le parole sorte dalla sua voce ferita non sfociano tanto in un inventario dei danni e delle perdite che il resoconto di un adulterio porta con sé, quanto in un’indagine sulle motivazioni dei personaggi coinvolti, sulla libertà, la scelta e l’autoinganno, alla ricerca di quella che è, forse, l’unica possibilità di recupero.
Narrato in prima persona in tono lucido e umorismo caustico da una delle più importanti scrittrici brasiliane contemporanee, Niente da dire è un contundente ritratto di coppia e una riflessione indiretta sulle possibilità di comprensione reciproca nel nuovo millennio.
Il romanzo vincitore del prestigioso premio Ficção dell’Academia Brasileira de Letras

 


(Portuguese edition)

Sergio Almeida, Jornal de Notícias , programa Companhia dos Livros, 08/03/2014.

(link para o vídeo.)

 

Isabel Coutinho, jornal Público, suplemento Ipsilon, 08/03/2013, p. 18-19.

Elvira Vigna tem uma obsessão por Camões. Quando o leu pela primeira vez ficou muito impressionada. E a memória dessa leitura coincidiu, mais tarde, com uma “experiência dura”. “Na minha leitura, o que mais me ficou foi a volta da viagem, a dificuldade da integração do novo, da mudança, na vida que se leva. Os Lusíadas tem uma volta difícil”, diz a escritora brasileira ao Ípsilon por e-mail.
Essa leitura aconteceu há muitos anos e é anterior a uma experiência fundadora. “Na década de 80, precisei de morar uns anos no exterior.A volta foi muito complicada. Nossa bagagem ficou presa no porto de Nova Iorque, sob uma greve de portuários americanos. Ficámos uns tempos num hotel sem roupa, com os papéis de trabalho longe. E eu estava muito diferente daquela que tinha ido”, lembra a escritora, que nasceu no Rio de Janeiro em 1947.
“Apesar disso, aqui [no Brasil] me esperavam meus pais, amigos antigos que eu não sabia se ainda poderiam ser meus amigos e um apartamento fechado que me pareciam muito distantes e estranhos. Me esperava até meu antigo emprego [no jornal] O Globo, cuja redacção estava em reforma, com gente que eu não mais conhecia. Me lembrei de
Camões e de sua volta.”
Foi nessa altura que escreveu o seu quarto romance, Coisas que os homens não entendem (Companhia das Letras), que conta esse seu regresso e cita Camões, sem aspas, no meio do texto. Por isso, quando em Janeiro do ano passado a escritora esteve em Lisboa, sem ter ainda nenhum livro publicado cá, escolheu para tema da palestra que deu na embaixada brasileira Coisas que os homens não entendem e Camões (disponível em http://elvira.vigna.com.br/livcoisascri.
No entanto, não é com esse livro que se estreia agora no mercado editorial português. A Quetzal optou por um romance mais recente, Nadaa Dizer, Prémio de Ficção da Academia Brasileira de Letras 2011 e finalista do prémio Portugal Telecom no mesmo ano.
Para os seus romances, Elvira Vigna não parte de ideias. Parte de histórias reais que viveu, que lhe contaram ou que presenciou, e que a marcaram a ponto de nunca mais se esquecer delas. É o caso de Nada a Dizer, que conta uma história de adultério, embora o tema não a atraia de uma forma especial. Vê-o como uma “‘solução’ medíocre para
um conflito que é humano e bem comum”. Nada a Dizer relata o modo como um casal de meia-idade tenta sobreviver à traição. Paulo engana a narradora com N., uma mulher 20 anos mais nova, casada. O relato é-nos contado pela mulher traída numa tentativa de entender o que não entende: “Paulo fez o teste de HIV. Depois mostrou, condescendente. Li em seu rosto que ele achava que me fazia bem eu considerar N. uma mulher promíscua. Que eu, a esposa traída de meia idade, me sentiria melhor se ele não refutasse a hipótese de sua amante ser uma puta. Eu afundava, mais e mais, em estereótipos, e Paulo continuava a me ajudar para que assim fosse. Agora, eu era a mulher merda, banal, medíocre, imbecil que tinha sido traída. E era também a mulher merda, banal, medíocre, imbecil que tinha a reacção típica de todas as mulheres merdas, banais, medíocres, imbecis ao serem traídas: pedir teste de HIV.”
A narradora descobre o adultério do companheiro de décadas quando vê um e-mail protegido com uma senha. O livro aborda a traição em tempo de Internet, Skype, blogues e redes sociais. “Este foi o meio que encontrei — e bem real na minha vida, já que frequento as redes — pararesolver um problema de escritor. Como o livro é narrado pela mulher traída e como eu o queria brutalmente realista, a ponto de não permitir possibilidade alguma de ilusão romântica, precisava de fazer com que a narradora ‘soubesse’ de detalhes que ela não poderia saber. As conversas entre ela e Paulo, brutais em sua sinceridade, resolviam a maior parte do problema. O resto teria chegado ao conhecimento da narradora através de espiadas nas páginas de redes sociais da amante, N.”, diz Elvira Vigna, que, além de ser jornalista, teve uma editora, a Bonde, durante cinco anos, editou a revista marginal-literária A Pomba e, em 1988, abriu a empresa de traduções que ainda tem.
“O que me volta até hoje, cinco anos depois, é a imagem dos dois depois de tudo o que aconteceu, eles cada vez mais velhos, sozinhos na casa, se olhando sem máscaras, muito próximos, muito verdadeiros um com o outro, e sem mais nada a dizer sobre a vida que lhes coube ser vivida.”
Trepar com quem se quer
Em Nada a Dizer, o Rio de Janeiro é o lugar do adultério e São Paulo a cidade onde o casal mora. “Sempre ancoro o que escrevo no que eu vivo no momento da escrita, ainda que o que está sendo escrito tenha se passado ou comigo em outras épocas ou com outras pessoas em outros lugares. Eu acabava de me mudar do Rio para São Paulo. Os cenários são reais, um retrato exacto da minha casa naquele momento, e também do bairro em que morei no Rio, Botafogo. Quando o que eu quero contar precisa de se passar em lugares específicos, eu me mudo para esses lugares enquanto escrevo”.
A seguir reescreve e reescreve, mas o cenário já está montado.
A narradora de Nada a Dizer contanos a determinada altura: “Fomos nós, os que fizeram 60 anos no início do século XXI, os que lutaram e enfrentaram hostilidades de todo o tipo para que pudéssemos viver, todos, do jeito que quiséssemos, trepando com quem quiséssemos, sem que as peias e o jugo de uma estrutura burguesa conservadora tivesse algo a ver com as decisões pessoais de cada um. Eu, com a filha que decidi ter.
Paulo, experimentando sexualidades e estilos de vida em grupo. Eu, à la Leila Diniz — que inclusive conheci bastante bem — levando minha barriga alegre e solta, ao sol. Paulo com suas letras de música proibidas, com seu carrinho velho, enfrentando o perigo, para levar amigos clandestinos de um lugar para outro.”
O modelo para a narradora desse livro é uma mulher que Elvira conheceu. “Ela me impressionava muito. Tudo estava sempre bem com ela. Tinha uma porção de filhos, de vários relacionamentos, todos vivendo com ela e com seu eventual companheiro do momento. Trabalhava como montadora do cinema brasileiro. Fazia pão em casa, usava
roupas compridas. E no momento em que escrevo isso para você, recupero o sorriso dela e até sua voz. E tanto eu quanto ela conhecíamos [a actriz] Leila Diniz. A personagem desse livro é ela, ou melhor, como ela seria (e como eu seria), hoje, tendo vivido o ambiente que ambas vivemos naquela época.”
Como acontece com todos os narradores dos seus livros, essa mulher é também Elvira Vigna. Para conseguir escrever um romance, a escritora precisa de encontrar em si “essa possibilidade de ‘eu’”. Pelo contrário, custou-lhe construir a personagem N. — a companheirona “a que bebia, porra, ria alto, caralho, fumava, merda”. “Foi muito difícil fazer com que ela se sustentasse coerentemente no livro, porque na verdade eu não a entendo bem. Tenho muita dificuldade em entender alguém que não seja verdadeiro com o que sente. Que pretenda manter uma posição confortável em detrimento do que a vida possa trazer de mudanças. N., como os outros personagens do livro, também existe na vida real.Portanto sei que a postura liberal que ela apresentava em público, sim, convivia com um extremo conservadorismo na vida pessoal. A explicação que desenhei no livro é mais sociológica do que individual. Seria um reflexo de sua classe social, uma burguesia encastelada há várias gerações em privilégios e em ‘jeitinhos’ para manter as aparências e uma suposta respeitabilidade.”
Paulo, por sua vez, é descrito como um comunista filho de um “pai bronco, português — que cortava seu rabo-de-cavalo com a faca de açougueiro”? “Paulo, como tantos de sua geração, revoltou-se primeiro com o ambiente dentro de casa. Tendo vindo de uma cidade pequena do interior, a sua revolta estendeu-se dos limites da casa paterna
para os da cidade pequena, e depois para a política nacional. Esse percurso foi comum na minha geração. Quanto ao ‘português’, isso também era um aspecto comum naqueles tempos, em que a imigração portuguesa das primeiras décadas do século XX, já estabelecida em pequenos comércios, começava a educar os seus filhos, nascidos no Brasil”.
Uma das coisas mais interessantes na leitura de Nada a Dizer é a mestria com que Elvira Vigna consegue mostrar como aquela história é vivida de forma diferente pelo homem que trai e pela mulher traída. É um dos pontos principais do livro: “Duas pessoas muito distantes que, após um trauma, começam um lento e doloroso processo de aproximação e conhecimento. Paulo e a sua mulher vivem duas vidas completamente diferentes e afastadas uma da outra sem que se dêem conta disso. São obrigados a enfrentar essa distância, pela primeira vez em muitas décadas, com o caso de Paulo com N. Com o impacto dessa realidade, as fantasias, inclusive a que seria a ‘história principal’ do livro — a do possível assassinato do marido de N. — caem no vazio. Não há mais espaço para fantasias. Eles precisam de aprender a falar e a se falar, e isso é tudo.”
O modo como os filhos do casal vivem tudo o que se está a passar naquela relação é outra das forças de Nada a Dizer. A determinada altura, a narradora pede à filha para lhe comprar um bâton, que habitualmente não usa: “’Quero vermelho puta’. Ela disse Ahn, ahn, e comprou quase incolor.” “Os filhos aparecem pouco e são, como você tão bem notou, importantíssimos. Eles vêem. Eles sabem, eles gostam dos pais, mas pouco podem fazer, além de tentar aparar excessos e caminhos sem volta. São mais maduros do que os pais. É como se a história fosse contada por eles. O ponto de vista é exactamente esse: de alguém muito próximo, que vê o que acontece com um afecto e também com um riso sobre as trapalhadas em que o casal se mete”, nota a escritora.
Incomodar quem lê
Elvira Vigna é também ilustradora e crítica de arte contemporânea. As imagens são a base da sua escrita. “O hiper-realismo é uma técnica terrível. Você não ‘inventa’ nada. Você desenha ou pinta exactamente o que está lá. E o que seria a reprodução anódina de algo bem comum — digamos, um balcão de bar ou uma praia cheia — torna-se perverso. Isso porque, ao olhar normalmente seja o que for, você ‘filtra’ as imagens que vê. Você omite detalhes e acentua outros, a depender de qual acervo cultural você tem, de qual é a sua ‘vontade’ em relação àquilo que você vê, de quais os seus traumas.
O hiper-realismo, de Edward Hopper e outros, te impede de fazer isso. Te obriga a ver. O que era banal e anódino torna-se ligeiramente perverso. Você não sabe direito o que te incomoda. Mas incomoda. Quando descrevo os detalhes do motel ou de um almoço com essa mesma técnica, o que poderia ser visto como algo comum ou positivo também
passa a incomodar quem lê.”
No livro há esta passagem: “Mas eu continuava sem entender como ele podia meter o pau dele em qualquer buraco, só porque podia. (…) Ele fazia porque podia. Assim simples. Assim capitalista. Assim quanto-mais-melhor. Assim burro.”
Como é que entra o capitalismo nesta história? Elvira explica: “A narradora é oriunda da década de 60, teve uma formação muito ideológica na juventude, como muitos brasileiros de sua geração, por conta da ditadura militar. É um comentário que ela faria. É um comentário que eu faria. Diz respeito a uma atitude acumulativa, burra porque destruidora (do planeta e do indivíduo, igualmente) a longo prazo. Você quer mais capital e o acumula enquanto pode porque pode, não porque queira exactamente, ou porque precise. Mais um carro, mais uma casa de veraneio, mais um avião. Ou mais uma boceta.”

 

Vanda Marques, Informação, 15/02/20113

Fazer contas à dor, tentar transformá-la num inventário, com perdas, dívidas e ganhos, pode parecer simples. Talvez até resolva alguns problemas e ajude a encontrar respostas. Mas, como aprendemos com a narradora de “Nada a Dizer”, as coisas não são assim tão fáceis. “Como se pôr nomes e definir itens fragmentasse minha desvalia, a fizesse mais fácil. A frase implícita era: não, as perdas foram essas e essas outras, somam tanto, agora é calcular o valor do seguro. Cálculos matemáticos sempre são mais confortáveis do que o que não dá para contar”, escreve Elvira Vigna no romance que acaba de ser editado em Portugal pela Quetzal.
A narradora deste livro – que não tem nome porque a escritora não conseguiu “dar um que não soasse falso, já que o verdadeiro não podia dar” – relata-nos como descobriu a traição do marido, como sofreu com ela e tentou enganar-se. O tema não é propriamente novidade, mas aqui ganha mais força pelo tom honesto e confessional com que Elvira escreve. Uma forma despretensiosa marcada pelos diálogos e que cria empatia com qualquer tipo de leitor, traído, não traído, traidor ou curioso. De repente estamos na pele daquela mulher, com vontade de a sacudir para que não se deixe enganar e quase a ponto de odiar Paulo, o marido, e N., a amante.
Ou de sentir pena, de perguntar porquê. E quanto ao perdão, será que existe? “Sequer sei o que quer dizer perdão. Me parece algo meio religioso. Acho que pode haver entendimento. Se for mútuo, melhor”, responde por email a escritora de 65 anos. E os ódios a personagens, esses ficam para quem lê. “Eu?! Imagine. Quem deve responder isso é o leitor.”
Quem tentar ler o livro “Nada a Dizer” com um olhar moralista vai ficar desiludido. Não é uma crítica de costumes nem um manual de boas maneiras, com fórmulas para evitar traições ou para as descobrir. A escritora acredita que se pode amar mais de uma pessoa, mas que não pode haver enganos. “Não acho que o poder que o mentiroso se reserva ao mentir para o traído conviva com algo que se pareça com amor. Amor é troca. Se um detém o poder total de saber o que se passa e o outro não, não é amor.”
O livro é um desabafo sobre um assunto que hoje parece não ter tabus e ser mais difícil de esconder. Deixamos ao longo do nosso dia um rasto tecnológico. Os emails que enviamos, as mensagens de telemóvel, os cartões multibanco que mapeiam a nossa vida permitindo ver onde e quando comemos o quê, parece que fazem de uma traição coisa fácil de apanhar. Elvira, que já foi casada três vezes e tem “a experiência de ser traída”, discorda. “Engana-se quem se julga esperto e que acha que não precisa escolher, que pode ter tudo – o que é um engodo do capitalismo.” A escritora acha que hoje as novas gerações são menos hipócritas porque fazem o que querem e que não há diferenças na traição de homens e mulheres. “Não estabeleço diferenças de género na falta de inteireza em assumir decisões – que é a origem da traição.”
O livro foi um sucesso no Brasil e gerou muita discussão. A melhor definição que Elvira encontrou para uma história que tem um ponto de partida verídico é “o que dizer aos que não sabem o que dizer”.  E as reacções de quem a leu surpreenderam-na. “Gostei dos leitores que entenderam que de forma alguma faço a apologia de casamentos ou de seu contrário. Faço a apologia de assumir o que se quer.”
Distinguido pelo Prémio Ficção da Academia Brasileira de Letras e finalista do Prémio Portugal Telecom, o romance é o oitavo de Elvira Vigna, depois da estreia em 1988 com “Sete Anos e Um Dia”. “É um prémio importante. O livro contém muitos palavrões, cenas pesadas. O prémio me fortaleceu frente a sectores mais conservadores”, diz ao i.
Literatura Infantil Jornalista de profissão porque queria “sair às ruas descobrindo o que não conhecia”, a brasileira que nasceu no Rio de Janeiro, diplomada em Literatura na Universidade de Nancy e mestre em Comunicação pela Universidade Federal do Rio, nunca pensou em ser escritora. “Era jornalista. Durante a ditadura brasileira não conseguia trabalho. Acabei abrindo uma editora e me tornei escritora por acaso.” A editora chamava-se Bonde e durou cinco anos. Mais tarde criou a revista “marginal-literária ‘A Pomba’”, como conta, e em 1988 abriu uma empresa de traduções, a Earte, que ainda hoje funciona.
Começou a escrever literatura infantil, até que se fartou e decidiu escrever para adultos. Confessa que todas as suas histórias têm um ponto de partida verdadeiro e não tem medo de se expor. “Escrevo para contar aos outros o que me impressionou, o que nunca entendi, o que me volta sempre. É uma espécie de vontade de conversar à distância. Tenho algumas histórias das quais nunca esqueci. Pessoas que se negam a ficar para trás, mesmo que depois desapareceram da minha vida. Lugares que revisito na minha cabeça. É esse o meu assunto. As coisas que nunca pude esquecer.”
Essa fronteira com o real faz com que Elvira Vigna assuma que não há uma história que não seja confessional. “Embora enredo, personagens e cenários sejam sempre reais, não necessariamente o que acontece no romance é o que aconteceu com aquela determinada pessoa naquele lugar específico.” E vai mais longe para falar dos problemas que isso pode criar. “Só uma vez fui interpelada por alguém que julgou se reconhecer. Meu sogro. O livro era o ‘A Um Passo’. E ele se enganou. Não era ele a pessoa descrita, mas o pai de uma amiga de infância. Outra vez foi a mãe de uma amiga. O livro era o ‘Coisas Que os Homens não Entendem’. Achou que o jovem amante do livro era um jovem amante do seu passado. E dizia: ‘Mas como você sabia disso?, como você pode ter visto esta camisa que você descreve e que eu dei para ele?’ Claro que eu nunca conheci a pessoa em questão.”
Já está a escrever um novo livro, sobre o qual não adianta pormenores. Diz que não sabe como será recebido “Nada a Dizer” em Portugal, porque conhece pouco do país. A nossa literatura conhece melhor e confessa que gosta “imenso de Lobo Antunes”. Mas enquanto houver histórias que a intrigam ou até a mesmo a “maneira de alguém gargalhar” vai continuar a escrever.

 

Ana Dias Ferreira, Timeout, 07/02/2013
A mulher traída tenta ligar para o telemóvel do homem que a traiu e percebe que ele o deixou em casa, desligado. Imagina então se ele o tivesse levado para se encontrar com a amante no quarto do hotel e o telefone tocasse:
“Seria assim: 
Musiquinha de celular em impromptu na harmonia dos 
Ahn, Ai, Tesuda. 
Paulo no celular:
‘Oi, querida.’ 
O pau de Paulo entre as pernas: ‘Tchau, querida.’ 
Outra querida, evidentemente.” (p.71)
A cena faz parte de Nada a Dizer, o livro com que a carioca Elvira Vigna chega às livrarias portuguesas, e mostra em meia dúzia de linhas o que é este romance, originalmente publicado em 2010: o relato de uma mulher traída a tentar entender como é que duas pessoas que estão juntas há mais de 30 anos podem esquecer-se uma da outra, e a falar do fim do amor com uma ironia que chega a ser desconcertante.
“Escolhi a mulher traída para narradora por este ser um ponto de vista raramente considerado nas histórias românticas”, diz a autora a partir do Rio de Janeiro. “Assim retiro a impressão romântica que uma traição possa ter. Não acredito em amores aos pouquinhos. Casos de amor significam que o amor anterior acabou.” Não é a primeira vez que Elvira Vigna escreve sobre o tema, e para o saber basta olhar para o título do seu romance mais recente, O que deu para Fazer em Matéria de História de Amor. “Acho que a dificuldade em se obter satisfação em relacionamentos afectivos é um tema contemporâneo, sejam tais relacionamentos do tipo que for: monogâmicos e longos ou, pelo contrário, rápidos e diversificados.”
Paulo e a mulher que escreve na primeira pessoa, a mulher traída de quem nunca chegamos a saber o nome, são do tipo monogâmico e longo, apesar de terem crescido com a revolução sexual dos anos 60 e a viver em repúblicas ou apartamentos com mais dez ou 12 pessoas. Ele já tem mais de 60 anos mas ainda gosta de fumar a sua “maconha”, ambos são tradutores e acabam de se mudar para São Paulo quando ela descobre que ele tem um caso com N., uma colega 20 anos mais nova.
Com a entrada em jogo dessa mulher, tudo é passado em revista, e Nada a Dizer torna-se uma espécie de viagem para entender as falhas do outro, ou quem se é sozinho, ao mesmo tempo que se ergue como um testemunho muito forte do amor na meia-idade e no mundo de hoje, em que os emails podem ser encriptados e as traições combinadas por sms. “Havia a carga de toda uma vida passada juntos. A carga de um conhecimento profundo um do outro a impedir o frescor de uma risada inesperada, de uma aceitação sem comentários. Ou julgamentos.” (p.58)
E como na cena do telemóvel, no meio da traição, da descoberta de que não se conhece ninguém e de que todas as respostas são temporárias, o dramatismo dá lugar a um humor fino, infinitamente mais eficaz a mostrar a dor desta mulher que se expõe sem artifícios.
“A ironia costuma estar presente em meus textos, sem que eu me esforce para isso”, conclui Elvira Vigna. “É uma coisa minha. Não sou uma pessoa dramática.”

 

Mário Rufino, Público-P3, 03/02/2013

“Nada a dizer”, um triângulo amoroso num texto realista
Elvira Vigna (n.1947), jornalista, tradutora e escritora brasileira, apresenta-se ao público português com “Nada a Dizer” (Quetzal). O seu oitavo romance (primeiro editado em Portugal) foi aplaudido pela crítica brasileira.
“Nada a Dizer” venceu o Prémio Ficção da Academia Brasileira de Letras e foi finalista do Prémio Portugal Telecom. O enredo do livro é simples.
Um casal sexagenário pertencente à classe média, com filhos e sem problemas económicos, vê o seu casamento, de mais de 30 anos, em risco devido a adultério. Durante um ano, a mulher traída narra os factos e as emoções sentidas durante esse período. A mais-valia desta obra de Elvira Vigna não é a história; é a forma como a história é contada.
Nesta perspectiva, “Nada a dizer” é um texto literário muito bem estruturado, onde a escritora, com mestria e através de um “eu narrativo”, seduz o leitor a assistir às vicissitudes inerentes a este triângulo amoroso.
O relato na primeira pessoa de uma traição acrescenta dificuldades à necessidade de relatar situações a que o narrador não pode ter assistido. Isto num texto realista como o de “Nada a Dizer”. No entanto, a estratégia narrativa, tal como está montada, dota o texto de credibilidade. O leitor não põe em causa aquilo que é contado. Há sempre, no mínimo, uma dúvida razoável.
E é essa credibilidade que convence o leitor a acompanhar o árduo caminho das personagens até à redescoberta de si próprios e hipotética pacificação individual e colectiva. Assistimos à ilusão, apesar de todas as evidências; à desilusão, quando tudo é já indesmentível; à destruição do “eu” e do “nós”, pela ruína dos pilares que os sustentavam; e à difícil reconstrução como indivíduos e como casal. A identidade é pressionada até ceder. De forma minuciosa, quase masoquista, a autora (re)constrói uma outra identidade.
“Nessa noite que durou dois dias, em que Paulo me contou do seu caso com N. e, de sobremesa, da origem do chato nordestino, eu desmoronei, eu inteira – e não só minhas opiniões, atitudes e posições. Desmoronei. Eu não mais existia.” Pg. 113
Ao contrário do que se poderia supor, não há auto-comiseração exagerada. Antes pelo contrário. A lucidez e o humor com que a narradora, de quem nunca sabemos o nome, conta todos os passos do adultério são notáveis. O relato pormenorizado do que vai acontecendo contrasta com o silêncio do marido. Enquanto a mulher enfrenta os problemas, o marido esconde-se no silêncio. Se não fala, não existe.
A escritora explora a volatilidade do ser humano quando provoca a identidade com factos que obrigam a uma redefinição dos hábitos que a sustentam.
Numa prosa fluente, de cariz realista, a intimidade é colocada em causa quando o que a compõe é desvalorizado e exposto, por exemplo, na internet. Os meios informáticos são um mecanismo para a diluição entre o que é público e o que é privado.
A partir de uma história linear, Elvira Vigna constrói uma narrativa onde expõe algumas características da sociedade contemporânea.

 

Cassionei Petry, blog da editora Quetzal, Lisboa, 14/01/2013

Há muito a dizer sobre Nada a dizer, de Elvira Vigna. O espaço, porém, é limitado, o que é bom, pois só assim escapo da tentação de contar tudo e afastar, dessa forma, o leitor da obra. Sugerir é mais sensato, provocar a leitura, dar pistas talvez. Bem, o melhor é dizer pouco.
Carioca, nascida em 1947, Elvira Vigna tem uma obra consolidada, que inclui romances como Coisas que os homens não entendem e Deixei ele lá e vim. É uma escritora que sabe o que quer dizer e diz. Seus projetos literários são baseados em estudos teóricos bem fundamentados que ela expõe em palestras ou vídeos disponíveis no seu site. Não é diferente com esse Nada a dizer.
No romance, há uma história de adultério. Tema que pode parecer comum, mas que na mão da escritora ganha outro brilho, pela maneira como é contada, pela voz que relata, pela forma como ficamos sabendo da traição. Aliás, o ponto de vista da narrativa, para quem não lê a orelha ou a contracapa do livro, é uma surpresa que se desvenda logo no início, mas que já demonstra o trabalho criterioso da autora. É difícil, inclusive, resumir parte do enredo sem falar sobre o narrador. Tentaremos.
A personagem principal, cujo nome desconhecemos, é casada com Paulo. Ambos estão recém se mudando do Rio de Janeiro para São Paulo. A casa ainda por arrumar tem caixotes espalhados pelos cômodos, dando um indício do que acontecerá com os dois. A vida deles será bagunçada devido a algumas visitas que Paulo faz ao Rio de Janeiro, com o pretexto de encontrar os amigos e jogar futebol. Através de troca de e-mails, conversas no Skype e mensagens de celular, o marido marca encontros com N., uma amiga do casal no Rio. A mulher traída, depois de descobrir tudo, lê obsessivamente os rastros de conversas que foram deixados, bem como o blog escrito pela amante, numa tentativa de entender os motivos de o marido, já com seus sessenta e poucos anos, se envolver com uma mulher vinte anos mais nova.
Paulo, num primeiro momento, nega tudo. Mente. Mas depois confessa, a esposa o ouve e expressa esse momento numa das passagens mais belas do romance: “Não sei como exprimir o que vivi. Eu teria de falar em frases lentas, muito suaves, uma música de câmera dessas que nos embalam e se preocupam em nos avisar quando terminam graças aos compassos em tom menor, mais curtos. Quando então saímos de nossa letargia para bater palmas discretamente e nos dirigir à pessoa ao lado, com acenos de cabeça, sim, a execução foi exatamente como esperávamos, sim, muito satisfatório esse sentimento de realização que nos fica quando acompanhamos até o fim uma melodia”.
Paulo havia mentido para a mulher. É a mentira que torna o caso uma traição. Não ter nada a dizer sobre o que aconteceu, negar tudo. O romance, por isso, é muito mais sobre a mentira do que o adultério. Mentir é inerente ao ser humano. A história escrita por Elvira Vigna pode ser uma mentira. O escritor mente e cria personagens que mentem, inclusive a própria mulher traída mente. Por isso dizemos que um romance é uma ficção. A mentira aqui serve para mostrar a verdade, revelar questões humanas que só se revelam na ficção. Acreditamos mais em uma mentira bem contada do que numa verdade com roupa rota. Inclusive esta resenha pode ser mentirosa, mas sobre isso não tenho nada a dizer. O que tenho a dizer é que Nada a dizer é um romance que merece e deve ser lido. Pronto, já disse.